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- Lo stemma e il motto della Polizia di Stato: “Sub lege libertas”. Dalla sua fondazione, il Corpo ha avuto 2.483 caduti in servizio - Il questore Italo D’Angelo: “Sicurezza non significa solo reati, ma anche qualità urbana: strade sicure, pulizia degli spazi pubblici, lotta al vandalismo e all’abusivismo. Significa anche infrastrutture, luoghi illuminati e difese passive della casa, come gli allarmi e i sistemi di video-sorveglianza”
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Il tutore della legalità
Il 1982 verrà ricordato anche per una delle più brillanti operazioni della Polizia italiana negli anni di piombo: la liberazione, il 28 gennaio, del generale della Nato Dozier, sequestrato a Verona dalla colonna veneta delle Brigate Rosse il 17 dicembre 1981 e detenuto in un appartamento di Padova. Ricordo ancora nitidamente l’annuncio in diretta televisiva del presidente Reagan: “Good news already! This morning the Italian Police has rescued Brigade General James Lee Dozier” (era mattina in America, ma già sera in Italia). E’ stato per tutti un momento di grande sollievo, con un po’ di fierezza nazionale per l’efficienza dimostrata dai nostri servizi. Ma il presidente americano non poteva immaginare che dietro la fulminea azione dei Nocs (il nucleo speciale della Polizia, le cosiddette “teste di cuoio”) c’era anche l’attività di intelligence di un giovane funzionario della Digos di Venezia: Italo D’Angelo, un ex avvocato di Sant’Elpidio a Mare (Ascoli Piceno), appena assunto per concorso. Era stato mandato a Venezia nell’aprile 1981, come battesimo del fuoco, pochi mesi dopo la morte di Alfredo Albanese, commissario capo dell’antiterrorismo, assassinato a 33 anni il 12 maggio 1980 mentre indagava sull’omicidio di Sergio Gori e su un traffico internazionale di armi (seguirà poi, sempre ad opera della colonna veneta, il sequestro e l’omicidio di Giuseppe Taliercio). Anche a lui si deve quindi il lavoro investigativo che, seguendo la traccia delle confidenze di un “pentito”, ha portato all’individuazione del covo brigatista del sequestro Dozier e successivamente all’arresto di oltre cinquanta terroristi. Cerco di immaginare questo giovane poliziotto, piccolo e robusto come il commissario Montalbano di Luca Zingaretti: che, con i muscoli guizzanti sotto il giubbotto antiproiettile e la pistola in mano, fa irruzione con i suoi uomini nella casa di un terrorista responsabile degli omicidi Gori e Albanese; o affronta i rapinatori dopo un colpo in banca (in questo caso ad Ancona); o assicura alla giustizia latitanti evasi, trafficanti di droga, mafiosi russi, sfruttatori di prostitute (risale a quegli anni la frequentazione con don Oreste Benzi). Ma oggi mi trovo di fronte a un tranquillo signore nei suoi giovanili sessant’anni, con baffi e pizzetto elegantemente brizzolati, che conserva ancora la leggera inflessione linguistica delle Marche meridionali. In effetti è un tipico prodotto culturale delle Marche: liceo a Fermo, laurea in Legge a Macerata, moglie (rigorosamente del territorio) conosciuta da ragazzo sull’autobus degli studenti pendolari e oggi medico odontoiatra ad Ancona; un figlio avviato verso la stessa carriera materna, un altro ancora al liceo.
Dalla Digos alla Stradale. La figura del questore (dal latino querere: cercare, investigare, inquisire) è già presente nell’antica Roma con funzioni di polizia criminale e di amministrazione non troppo diverse dalle attuali. Nel nostro ordinamento il questore è il responsabile dell’ordine pubblico nella provincia e a lui fanno capo tutti i corpi della Polizia di Stato, che comprende anche polizia postale, polizia stradale, polizia ferroviaria, polizia di frontiera, oltre ai servizi centrali: Digos, polizia amministrativa e sociale, anticrimine, “squadra mobile”. Italo D’Angelo, in carica dal 1° maggio dell’anno scorso (succedendo a Benedetto Pansini che ha deciso di rimanere a Pesaro come Difensore civico), ha percorso una lunga carriera nei ranghi del ministero dell’Interno: dirigente della sezione operazioni speciali della Digos di Venezia; capo della Squadra mobile, della Digos e poi dirigente della Criminalpol delle Marche ad Ancona; dirigente della Polizia stradale delle Marche (per sei anni) e successivamente del Piemonte e la Val d’Aosta. Conserva uno straordinario ricordo della sua attività nella polizia stradale e tiene a sottolineare l’abnegazione di questo Corpo e il suo altissimo tributo in termini di vite umane: quattro volte maggiore di quello degli altri reparti. Esprime inoltre un vivo apprezzamento per la professionalità delle donne nella polizia (ricorre quest’anno il 50° anniversario della loro ammissione nei ruoli), ricordando che ha sempre chiamato una donna a ricoprire l’incarico di suo vice. Ma in genere le sue segretarie sono poliziotte molto avvenenti, come sottolinea maliziosamente una pergamena in caratteri gotici che gli hanno regalato i suoi collaboratori quando ha lasciato la squadra mobile di Ancona (ricevendo anche il “Ciriachino d’oro” dal sindaco). Medaglia d’oro per merito di servizio, 38 attestazioni di merito, commendatore della Repubblica. Un medagliere da coprire un’intera divisa se ne avesse ancora una: ma non è più prevista per questo ruolo, anche se la sua posizione di dirigente superiore equivale a quella di generale di brigata nelle Forze armate. L’unico neo nella sua lineare carriera di poliziotto è il servizio militare di leva svolto nell’Arma dei carabinieri: cioè con la “concorrenza”. Tracciando il bilancio di poco più di un anno di attività a Pesaro, le sue impressioni sono molto positive. Di Pesaro apprezza la qualità della vita, il senso civico dei cittadini e il loro rapporto franco e diretto con le autorità. Nonostante i casi che allarmano l’opinione pubblica (soprattutto i furti e le rapine in casa), tutte le statistiche della criminalità mostrano indici in leggera diminuzione negli ultimi tre anni: rapine, furti, spaccio di stupefacenti. Non risultano infiltrazioni della criminalità mafiosa, non c’è prostituzione sulle strade. Insomma i reati sono sempre troppi, ma siamo messi meglio del resto delle Marche e sicuramente molto meglio della media nazionale. Alcol, droga e biciclette. Non sono molti gli hobbies del suo (poco) tempo libero: un po’ di barca col motoscafo ormeggiato nel porticciolo di Numana, qualche visita al poligono della polizia per esercitarsi con le sue due pistole personali, e a quello di Osimo per il tiro al piattello col fucile. Forse la sua lunga militanza nella polizia stradale ha ispirato alcune delle sue più recenti campagne di legalità, applicando con entusiasmo le direttive del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, presieduto dal prefetto Alessio Giuffrida: “tolleranza zero” per chi non segue – è il caso di dire – la retta via. Ha attuato la prevenzione dei comportamenti antisociali e illegali col progetto “viaggiare in sicurezza”, che comprende anche il servizio di vigilanza degli agenti sugli autobus di linea, e ha dato un notevole impulso alla repressione della guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di stupefacenti: che ha ottenuto un generale consenso, nonostante le dure sanzioni, i ritiri della patente e addirittura la confisca delle auto nei casi più gravi. A questo proposito, consiglia vivamente di tenere in macchina il “precursore” (l’apparecchiatura per misurare il livello alcolico, che ormai può essere acquistato a costi contenuti) che è anche un modo per responsabilizzare i ragazzi al comportamento per una guida sicura. Ha ottenuto invece un consenso assai minore il recente giro di vite sui ciclisti indisciplinati, con un insolito fioccare di multe della polizia municipale che ha sconvolto le abitudini di una città che viaggia da sempre su due ruote senza creare particolari problemi. A sua “discolpa”, il questore rivendica le sue benemerenze ciclistiche: il giro d’Italia del >2008, in cui ha percorso gli 8.500 chilometri da Palermo a Milano (come comandante della Stradale) e all’arrivo lo spagnolo Contador gli ha addirittura regalato la sua maglia rosa; e il sostegno alla settimana cicloturistica internazionale di Gabicce, con 600 cicloamatori che fanno sport, cultura e turismo, rispettando il codice della strada. Comunque taglia corto su queste polemiche estive, spiegando che tutto rientra nel concetto di sicurezza come bene comune “che non significa solo reati, ma anche qualità urbana: strade sicure, pulizia degli spazi pubblici, lotta al vandalismo e ai graffiti sui muri, lotta all’abusivismo commerciale. Sicurezza significa anche infrastrutture e luoghi illuminati e – perché no – telecamere collegate con le nostre sale operative. Significa assistenza alle fasce più deboli e accoglienza e integrazione degli stranieri, ma col rispetto delle nostre leggi”. Osserva infine che i cittadini possono collaborare efficacemente all’attività preventiva, come primi “sensori” del territorio: ad esempio segnalando i movimenti e i rumori sospetti, aumentando le difese passive della casa (come l’allarme o la videosorveglianza), non lasciando soli gli anziani. Un comportamento che riassume in uno slogan: “Aiutati che la Polizia ti aiuta”.
La cultura della legalità. Una bella iniziativa da lui promossa nel maggio scorso è stato il convegno “Lo sport palestra di vita: riflessioni su tifo e violenza” al Teatro Sperimentale di Pesaro, con le relazioni di personaggi “storici” dello sport, come Salvatore Bagni, Gianni Rivera, Arrigo Sacchi, Alberto Bucci, Italo Cucci, Marco Brunelli. Si sono ascoltati i loro richiami sul mito del successo facile, la degenerazione dei valori agonistici, la “stagione dell’odio” che stiamo vivendo negli ultimi anni. Ma mi ha particolarmente colpito la platea ammutolita, in cui erano presenti 300 ragazzi delle scuole superiori, mentre ascoltava la commovente testimonianza di Marisa Grasso, giovane vedova dell’ispettore di polizia Filippo Raciti, ucciso nei tumulti fuori dello stadio di Catania nel febbraio del 2007. Un terribile monito per tutti gli imbecilli (e qualche volta i criminali) che ammorbano il mondo dello sport.
Alberto Angelucci
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