Si è osato troppo. Morti e dispersi sotto le macerie sono la dimensione della tragedia. Consumatori impeccabili di fede consumistica e di religione speculatrice ma fragili e leggeri ci siamo visti crollare il mondo addosso, aggrediti nella sicurezza del benessere.
Gli stereotipi dell'immagine e del consumo in un baleno si sono disintegrati. Ingenuamente sospinti dal vento della fine della guerra fredda abbiamo ridisegnato le tappe della nostra felicità privata incuranti degli “altri”. Convinti assertori del nostro modello culturale abbiamo invaso il mondo di prodotti, merci e capitali. Sicuri d'imporre regole uniformi senza generare conflitti troppo forti. Ma gli equilibri o meglio gli squilibri del Muro di Berlino non erano morti, erano vivi e anzi più vivaci con l'avvento della globalizzazione. I predicozzi sulla tolleranza ed eguaglianza fini a se stessi nonché il forzato adeguamento degli altri al nostro stile di vita hanno partorito il mostro. Occorreva, e non c'è stata, la cultura dell'apprendimento collettivo perché le dinamiche conflittuali si dispiegassero fuori dalle discriminazioni violente. Come sarebbe stato necessario una solidarietà non di facciata ma che diminuisse il nostro tenore di vita per assicurare ai più le condizioni minime per la sopravvivenza. Soprattutto sul piano dell'inclusione globale, la focalizzasse sui valori di riferimento comuni su cui erigere l'habitat del nuovo scenario mondiale. Di sicuro un processo difficile. I segni del disagio e del grande freddo c'erano già tutti prima dell'11 settembre 2001. Le politiche di sviluppo avevano questo compito incompiuto per nostra unica e grave colpa, purtroppo.
L'ipotesi multiculturale, nello scontro tra mondi assoluti, non poteva realizzarsi con gli scambi e le accettazioni di valori diversi in un contratto d'integrazione. La rinuncia ai valori nega da sé il multiculturalismo. Un nuovo ed inedito modello culturale era raggiungibile per tentativi, mediazioni e comunicazioni collettive tenendo duro sull'obiettivo da raggiungere. Le soluzioni autoritarie, ora sono inaccettabili, ingigantirebbero l'odio e la conflittualità in maniera irreversibile. Finiremmo per essere sepolti dalle ceneri del consumo senza via d'uscita. Ricompattandosi il mondo capitalista e fondamentalista, l'equilibrio mondiale sarebbe più incerto ed insicuro. Avendo ancora il coltello dalla parte del manico si potrebbero ridefinire i modi di formazione delle identità personali e collettive, i rapporti tra individui e gruppi e le regole di compatibilità. Altrimenti la sola differenza per la diversità di propensione al consumo pur ponendoci al riparo “dagli altri”, attraverso risposte centralizzate ed autoritarie, immancabilmente ci attizzerà l'odio atavico di chi prova il disagio dell'isolamento, del lavoro umile e della povertà.
Stefano De Bellis
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