Colloquio con Norma Gregori
Ne ho vissute tante in quarant'anni di lavoro in un ospedale psichiatrico! Ricordo che alla fine degli anni ‘60 erano diffusi ancora i manicomi, composti da una umanità per lo più malata, sfruttata, derisa e abbandonata. Il primo impatto fu davvero scioccante: allora (non ero ancora ventenne) gli ammalati erano tutti vestiti solamente con un abito di iuta, senza scarpe né indumenti intimi; ma noi infermiere giovani apportammo delle novità. Infatti, grazie anche all'aiuto di una suora (beata suor Vittoria!), riuscimmo ad ottenere il permesso per poter usufruire del denaro derivante dalle pensioni dei pazienti: allora depositato in economato e destinato, dopo la morte degli ammalati, in eredità ai rispettivi parenti, ovvero a coloro che li avevano abbandonati e dimenticati per anni. Andammo al mercato e comprammo tutto il necessario per vestire i pazienti in modo dignitoso, e nello stesso tempo rallegrare e colorare quell'ambiente grigio. Solo una donna non volle nemmeno indossare le ciabatte. Si chiamava Ada ed era ricoverata dal 1943, quando, mentre stava arando la terra (gli uomini erano tutti in guerra e spettava alle donne fare i lavori pesanti), scoppiò all'improvviso un bombardamento che la spaventò a tal punto da dare evidenti segni di squilibrio, inducendo i parenti a portarla in manicomio. Tutti i giorni si recava nel cortile e girava in cerchio per ore ed ore, formando con gli anni un piccolo solco. Un giorno io presi le ciabatte, le misi fuori dal cerchio e le promisi di portarla al bar qualora l'avesse calzate. Io osservavo trepida dalla finestra e finalmente, dopo tre giorni, decise di indossarle e di non togliersele più. Infine la accompagnai al bar: era la prima volta che ci metteva piede. E quanto era carina Annina, con la sua gonna plissettata e la camicetta bianca! Aveva solo 12 anni, la prima volta che l'avevano ricoverata per problemi di schizofrenia. Ora ne aveva 18, non era più andata a scuola ed era rimasta semianalfabeta. Così, mi rivolsi a una maestra, anch'essa una paziente, portata qui dai parenti in quanto si comportava in modo strano: parlava da sola, spesso urlava senza motivo, vestiva abiti leggeri d'inverno e pesanti d'estate, ma in fondo era una persona innocua. Le chiesi se avesse ancora il desiderio di insegnare, i suoi occhi si gonfiarono immediatamente di lacrime di gioia. Da allora dedicò tutti i suoi sforzi ad insegnare ad Annina tabelline, poesie e dettati. Avrei tante altre vicende da raccontarvi, alcune ancor più sbalorditive a tal punto che faccio ancora difficoltà a parlarne. Con queste righe vorrei solo far capire alla gente cosiddetta “normale”, di guardare queste persone non con sorrisini ironici, ma con rispetto e comprensione, perché spesso hanno alle spalle una situazione drammatica.
Giannina Gregori
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