Una mattina, passando in bicicletta davanti ad una edicola lessi nel tabellone di un giornale: “si uccide e filma la sua morte”. La stessa cosa mi capitò di leggere, dopo diverso tempo, su un analogo cartello: “muore filmando la sua fine”. Che cosa avrà spinto queste persone a filmare la loro morte? Se non appari non esisti, se non appari non sei nessuno. Nulla è successo se il fatto non è riportato sulle pagine dei giornali o in TV. Molte persone si credono trascurate, non notate, non considerate, abbandonate e non amate, per cui, secondo la mentalità di oggi, pensano di non vivere perché non appaiono; ma che, morendo e filmando la loro fine, potranno finalmente suscitare interesse negli altri e soprattutto nei mass media.
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Se vediamo un uomo sulla spalletta di un ponte che si vuole buttare giù, che facciamo? E' evidente che quell'uomo vuole porre fine alla sua esistenza, è evidente che egli ritiene la sua sofferenza intollerabile. E allora? Prendiamo atto della sua volontà e della sua sofferenza ed accorriamo per distoglierlo dal suo proposito per aiutarlo a vivere? Oppure gli diamo una amorevole spinta? E quando la volontà di morire non è espressa, pur di porre fine alle sofferenze, lo prendiamo, lo solleviamo e lo buttiamo giù dalla spalletta?
Anche chi è contrario per principio alla pena di morte, per certi crimini efferati o commessi in danno di vittime innocenti come i bambini, pensa che in questi casi “ci vorrebbe la pena di morte”. La contrarietà alla pena di morte, per principio, deriva non solo dalla concezione cristiana della vita e dell'uomo, ma anche dalla serie di atti preliminari messi in atto dallo Stato per giungere alla “soluzione finale del problema”: l'orribile messa in scena dell'apparato garantista predisposto in tutti i particolari, a freddo, per eseguire la sentenza con l'intervento di giudici, procuratori, carcerieri, boia. Molto più accettabile psicologicamente la reazione a caldo di un poliziotto o di una vittima che si difende uccidendo il delinquente applicando così una immediata “incivile” condanna a morte del criminale. Giudizi di primo, di secondo e di terzo grado, domanda di grazia: il tempo che passa, il condannato che aspetta e che diventa diverso da quello che era al momento del delitto. Questo procedimento è orribile perché è civile, garantista e magari buonista perché si cerca di eliminare la vita di un uomo nella maniera che si pensa (si pensa: nessuno è tornato indietro a raccontarcelo) sia meno dolorosa possibile.
Analogo procedimento “civile” si è voluto instaurare per decidere ed applicare la pena di morte alla povera Eluana. Sentenza di primo grado, di secondo grado, Cassazione, cliniche, protocolli per delegare allo Stato la decisione di dare la morte ad una persona, solo presuntivamente consenziente: è la stessa cosa che ammettere e riconoscere la pena di morte con i suoi orrendi riti e procedimenti. Ma i soliti manifestanti non innalzano i cartelli con su scritto “no alla pena di morte”, ma cartelli con su scritto “morte a Eluana”.
Paolo Emilio Comandini