Gentile prof. Prologo,
seguo regolarmente la sua interessante rubrica sullo Specchio e mi piacerebbe, fare un paio di quesiti.
Il primo (scontato) è chiederle come andremo a finire con l'uso, che a me pare tanto provinciale, di sostituire sempre più termini italiani con inglesi (tendenza con trend, collaborazione con partnership, acquisti con shopping, ecc.).
Il secondo è sapere se sono corrette espressioni entrate nell'uso corrente della pubblicità e dei giornali quali:
“tempo reale” per dire “tempestivamente” (esiste un tempo irreale?).
“attore” e “scenario” al posto di soggetto e situazione (l'attore finge, il soggetto è reale…).
“salvo approvazione della banca”, quando viene fatta un'offerta di contratto da parte di un ente che potrebbe recedere. In questo caso non sarebbe corretto dire “salvo NON approvazione della banca”.
“entro e non oltre…”, per la data di scadenza di una domanda o di un pagamento (non basta dire semplicemente “entro”?)
“è severamente vietato” (se non c'è il “severamente”, vuol dire che si tollera l'eventuale infrazione?)
“chiudere sempre il cancello” (altrimenti si può lasciare aperto qualche volta?)
Cordiali saluti.
Claudio Mari
Gli anglismi, impostisi come una sorta di codice strumentale nei linguaggi specialistici e settoriali per la forza dell'egemonia culturale e del sistema economico-finanziario del mondo anglosassone, tendono sempre più ad estendersi al lessico quotidiano. Hanno un loro fascino, è innegabile: fanno chic, incutono un certo rispetto, sono indizio di modernità ed efficienza… E poi, danno a chi li usa l'emozione di appartenere a una società, a un mercato di dimensione planetaria. Fino a quando continuerà a prevalere questo orizzonte culturale collettivo, sarà bene rassegnarsi all'attuale situazione linguistica.
Eppure, nonostante tutto, è parere diffuso degli studiosi che l'italiano rimanga pur sempre “una grande lingua vitale, una grande lingua di cultura in movimento” (Beccaria): in definitiva, fa notare G. Berruto, gli anglismi entrati nell'italiano dal ‘64 in poi ammontano al 10% del nostro patrimonio lessicale e molti di questi sono già bene integrati. Danno cioè meno fastidio.
Veniamo ora agli altri quesiti.
“Tempo reale” è quello effettivo, senza ritardi o interruzioni, quale quello di una trasmissione televisiva in diretta, di una scena filmata secondo l'effettiva durata dell'azione o quello tipico di un'operazione informatica che consente di elaborare i dati man mano che si presentano (nel momento stesso del loro inserimento) e di interagire con un utente o un servizio, ottenendone subito la risposta.
“Attore” (dal latino actorem, da agere = fare) è chi prende parte attiva allo svolgimento di qualche cosa; nel processo civile chi promuove l'azione legale. In campo teatrale e cinematografico l'attore finge, simula, perché questo è il suo mestiere, il suo modo di “operare”.
“Scenario” per “situazione” è un uso figurato (contesto, quadro di riferimento, prospettiva di sviluppi, di evoluzione), del senso fondamentale “ambiente, scena, scenografia”. L'origine della parola è dal greco skené = tenda, fondale del palcoscenico.
“Salvo approvazione della banca” è formula cautelativa, clausola di riserva per operazioni di accredito. La preposizione “salvo” introduce un complemento di esclusione e vale “con riserva di…” (quindi “a condizione che…, in subordine a…”). Il senso negativo è implicito nel termine stesso.
“Entro e non oltre”, “è severamente vietato”, “chiudere sempre il cancello” appartengono a quella nomenclatura enfatica che finisce con l'essere poco logica. E' il formulario del “burocratese”: l'attitudine alla precauzione, la cura (perfino maniacale) di essere chiari, precisi, di evitare ogni possibile ambiguità, l'inclinazione alla frase fatta, alla pigrizia del ricorrere alla locuzione rituale. Non poniamoci troppe domande: l'italiano contiene incoerenze a non finire.
Alfredo Prologo