Arriviamo alla bella villa Giombetti-Lambertini fra la campagna e il mare di Fano, con una pioggia torrenziale, ma intravediamo subito, sparse sul prato, fra le aiuole, sotto gli alberi le belle sculture di Marisa; lucide di pioggia sembrano, se fosse possibile, ancora più belle. Sono di creta e di bronzo, ci sorridono e ci accolgono cordiali, vitali, innocenti e maliziose. Anche in casa, dove la scultrice affettuosa e festosa si cura di “ricoverarci” da tanto diluvio, le opere di lei impongono subito la loro presenza, sia per numero (sono, sole o appaiate, festosamente ovunque, sui mobili, negli angoli, fra i libri, stese per terra e sulle mensole), sia per quella vivacità di atteggiamenti che le rendono vive, espansive, dolci e seducenti, mentre il merlo indiano di nome Arturo amplifica con risate e accenti umani la colonna sonora del nostro amichevole ritrovarci. Una vera oasi di tenerezza e levità questa bella casa-studio-laboratorio di Marisa: anche suo marito, il simpaticissimo dottor Adriano, interviene ad accentuare l'atmosfera di sorridente leggerezza che si è subito e senza impacci instaurata. Spesso l'arte si lascia sedurre proprio dall'ambiente da cui prende vita. Parliamo, interrotte spesso da comuni ricordi, dei suoi lunghi e fertili 40 anni di mostre, di installazioni prestigiose, di quei tre anni di direzione del corso di modellazione a Bruges in Belgio; e di quando il Papa Giovanni Paolo II, in visita pastorale a Fano (1997), ricevette in dono dai fanesi la sua dolcissima “Vergine della Pace”; dei premi e dei successi nazionali ed internazionali (nel 2004 Marisa ha esposto con successo a Boston alla “Capricorno Gallery” e solo fra pochi giorni inaugurerà una mostra a Londra, mentre ha appena chiuso all'Hilton Milan “La leggerezza dell'esistere” una esposizione con i suoi ultimi lavori); degli atelier di Cortina e di Porto Rotondo e dell'infanzia romagnola, quando Marisa creava con le sue sorelle mille bambole vestite di carte e di stoffe variopinte, a metà fra artigianato domestico e atelier-giocattolo: le tre Lambertini esprimevano già così quelle doti di creatività che, insopprimibili e congeniali, suggerivano un fare spontaneo, fantasioso, colorato e divertentissimo. Poi Marisa scopre la creta, la modellazione, il plastico configurare corpi, visi e gesti di fanciulle felici a cui dare nomi e vita. È la vera svolta della sua vita artistica. Senza preoccupazioni, senza dissidi interiori, senza tormentosi confronti, Marisa Lambertini, avvalendosi di una tecnica che si andava raffinando via via proprio attraverso l'esperienza appassionata del suo fare, capì che i ritmi plastici e compositivi e le espressioni che le sue figure avrebbero assunto, erano saldamente legati, forse dipendenti fra loro, come se già la materia avesse capito, attraverso la trepida pressione delle mani di lei, quello che l'artista voleva ottenere. Marisa crea migliaia di visi e di corpi femminili, tutti armoniosi, vivificati da un fremito di innocente e perdurante giovinezza, animati da pensieri buoni, gentili e a volte appena maliziosi che sanno aggiungere alle Paole, alle Nadie, alle Monic, alle Cristine, alle sue primavere, alle sue tenerissime maternità, ai suoi bambini in girotondo o a quelli che – rapiti – ascoltano le fiabe della maestra, quella felicità gioiosa e senza ombre che pare scomparsa dal mondo degli umani. Da qualche anno sono arrivate le “Pomone”, quasi un sorridente e disincantato andar contro corrente: le ragazze di Marisa Lambertini improvvisamente sono aumentate di volume, ma, oh meraviglia, sono ugualmente felici, agili e spensierate. Le Pomone, incuranti delle loro misure e della loro diversità, ignare di liposuzioni, diete e defaticanti ore in palestra, continuano a raccontare alle amiche storie d'amore, a volare, a ballare, a saltare la corda, ma soprattutto a stringere con immenso amore i loro bambini, beati e rassicurati da tanta carnalità esibita e donata. Non hanno nulla della rigidezza da insaccato che caratterizzano i personaggi di Botero a cui qualcuno le avvicina. Con ironia, disinvolta euforia, armoniosa vitalità e allegrezza piena, le Pomone cantano la canzone di un'intima, sincera e pacificata libertà: dee domestiche, felici e amorose, sono un'astrazione, un mito, un sogno d'allegria; sono “le donne nate da donna nel giardino di una fantasia” senza tormenti e senza insicurezze, sono le creature che vorresti guardare e accarezzare ogni giorno per convincerti della bontà e della pienezza di una Natura generosa e provvida.
Ivana Baldassarri
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