Sì globalizzazione, no colonizzazione
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Mentre l'esercito talebano cede in pochi giorni metà Afghanistan ai mujahiddin e sembra liquefarsi, anche se sul suo arsenale chimico e forse atomico permangono molte preoccupazioni, gli americani iniziano a pensare che la cattura di Bin Laden sia possibile e forse vicina. Ipotizzando che ciò accada veramente ed immaginando che di conseguenza la rete terroristica Al Qaeda venga alla fine eliminata o comunque molto ridimensionata, qualcuno penserà che l'incubo sia finito, l'ordine mondiale ristabilito e che il capitalismo selvaggio e la globalizzazione incontrollata e senza regole abbiano trionfato, ristabilendo una pace duratura e definitiva sul pianeta.
Questo è un errore che dimostra una visione storica approssimativa e superficiale; se si vuole capire la storia, bisogna scavare a fondo per individuare il nocciolo dei problemi. E' vero che questa guerra è stata dichiarata “santa” da un criminale ed in modo unilaterale, ma le cause profonde del problema non derivano solo dal conflitto tra ebrei e palestinesi, che hanno tranquillamente continuato ad ammazzarsi prima durante e dopo, né da uno scontro con la civiltà e la religione islamiche in gran parte moderate. Se non iniziamo subito a fare qualcosa di concreto, il futuro potrebbe sorprenderci di nuovo, consegnandoci altri atti di terrore, altre guerre ed altri personaggi simili a Bin Laden.
Io non sono un militante anti-global, ma penso che uno degli errori nel filo conduttore della storia contemporanea, si annidi proprio in un nostro concetto sbagliato della globalizzazione. Non è una banalità pensare che fame e miseria provochino perdita della stima personale, disinteresse alla vita, disperazione, ribellione, fanatismo e che di conseguenza alimentino il terrorismo. Quest'ultimo, come ho già detto altre volte, è un fenomeno universale, non legato al solo mondo islamico ed è generato in teoria da fanatismi religiosi o idealistici; ma, guarda caso, esiste soprattutto nei Paesi più poveri. L'essenza stessa dell'uomo che possiede un'anima, una ragione, una moralità e perciò un'idea della giustizia, è poco propensa a farsi sopraffare, affamare e sottomettere senza prima o poi reagire.
Per quanto riguarda il progresso, per fortuna l'umanità si è sempre evoluta, anche quando la globalizzazione non esisteva e non era lontanamente immaginata neppure dai veggenti o dagli stregoni: si tratta di un fenomeno del nostro tempo. Essa è insita nella nostra civiltà, nel progresso tecnologico, ma forse è una tappa che in ogni caso sarebbe stata raggiunta; non è negativa in se stessa, apre scenari di progressi e miglioramenti, ma contiene come tutte le cose aspetti positivi e negativi, con possibilità di sviluppo augurabili o nefaste. Sviluppi nefasti quando vogliamo esportare i nostri valori e la nostra civiltà, proponendo un processo che punta alla costruzione di sistemi sociali e tecnologici giganteschi, estesi ad ogni angolo del globo e con le stesse identiche caratteristiche del nostro modello di vita, magari annientando minoranze isolate o culture fragili. Nefasti anche, quando la globalizzazione è presentata come una nuova forma di colonizzazione, volta ad instaurare dovunque lo stesso rapporto con la storia, gli uomini, gli dei. Nefasti ancora, quando le statistiche, quelle serie, ci indicano come nel mondo il rapporto tra il 20% più ricco ed il 20% più povero è passato in trent'anni da 30 a 1, a 60 a 1; o come l'86% dei decessi mondiali per AIDS avviene in Africa, ma il 95% delle spese mediche per combattere il virus riguarda il 5% della popolazione occidentale.
Sviluppi che diventano invece augurabili e positivi, quando ciò che viene messo in comune è l'informazione, la conoscenza, il progresso, la comprensione degli altri, la condivisione dei valori e delle ricchezze. Ormai lo hanno capito in molti; intellettuali, sociologi, scienziati, religiosi come il Papa e politici come Prodi, Kofi Annan, Chirac, Bush.
Torniamo alla storia e rendiamoci conto che da quando George Washington dichiarava che “è follia per una nazione aspettarsi aiuto disinteressato da un'altra” e John Foster Dulles sosteneva che ”Gli Stati Uniti non hanno amici, ma solo interessi”, è passato molto tempo: siamo nel ventunesimo secolo e andiamo verso la globalizzazione dell'intero pianeta, cioè una grande possibilità, che va però utilizzata con estrema saggezza ed attenzione.
Marco Ceccolini
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